Divorziare: costi e modalità
Il divorzio è stato previsto in Italia nel 1970, poi nel 2015 è stato introdotto il cosiddetto “divorzio breve”.
La procedura prevede che non possa esserci divorzio definitivo senza un periodo di separazione legale.
Se la separazione è consensuale, bastano 6 mesi dal pronunciamento. Se è giudiziale, il tempo raddoppia. I costi variano dai 300/400 euro a oltre 5mila euro, ma le leggi attuali prevedono anche la possibilità di divorziare senza avvocato e in questo caso si spendono circa 16 euro.
Il modo più economico per separarsi è quello della separazione consensuale, che può avvenire solo quando i due coniugi raggiungono autonomamente un accordo economico sulla separazione e sull’affido dei figli.
Le strade possibili da percorrere in questo caso sono tre, valide sia per la separazione che per il divorzio definitivo, da richiedere al termine del periodo di legge:
– La separazione o divorzio consensuale con negoziazione assistita, che è il percorso più breve in presenza di figli minorenni.
– Il ricorso per separazione o divorzio davanti al presidente del Tribunale, con o anche senza avvocato a seconda che ci siano in gioco o meno minori o figli non autosufficienti.
– La separazione o il divorzio senza avvocato nel Comune di residenza di uno dei due coniugi o dove è stato celebrato il matrimonio. Tale procedura non è però possibile in presenza di figli minorenni, portatori di handicap o non autosufficienti economicamente.
In caso non si trovi un accordo, va ricordato che la separazione o il divorzio giudiziale richiedono obbligatoriamente l’assistenza di un avvocato. I tempi di chiusura della pratica non sono prevedibili e le spese cresceranno di conseguenza.
A seconda della procedura prescelta, cambiano le spese che i futuri ex-coniugi dovranno affrontare.
1) Con la negoziazione assistita senza le tariffe variano dai 400 ai 3mila euro compresi eventuali bolli o tasse. Raggiunto l’accordo di separazione o di divorzio, gli avvocati devono redigere entro un mese un apposito verbale, che verrà firmato dalle parti e inviato al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente. Non è dovuto alcun contributo unificato come invece necessario per la separazione davanti al giudice. Le disposizioni sui beni patrimoniali, in quanto funzionali alla risoluzione della crisi, non sono sottoposte a imposta di bollo e di registro presso l’Agenzia delle Entrate.
2) Il divorzio o separazione consensuale davanti al Tribunale può invece avere tariffe diverse: se non ci sono figli minori o non autosufficienti, si può procedere senza avvocato pagando soltanto il contributo unificato di 43 euro e i costi per i documenti richiesti dalla procedura. Diversamente, al contributo di 43 euro andrà sommata la parcella del legale, tenendo conto però che nel divorzio congiunto potrà anche essere soltanto uno ad assistere la coppia nel suo insieme. In questo caso i coniugi che si separano si divideranno la spesa concordata con il legale. Non è infatti previsto l’addebito delle spese della separazione a uno soltanto dei coniugi, salvo casi eccezionali decisi dal giudice.
3) La separazione/divorzio in Comune davanti all’ufficiale civile è naturalmente la soluzione più economica, ma non sempre la più veloce perché alcuni comuni hanno l’agenda piena e non riescono a fissare l’appuntamento in tempi brevi. Il costo della separazione/divorzio si aggira comunque tra i 16 e i 30 euro e la procedura è ammessa anche se l’accordo di separazione prevede il versamento dell’assegno di mantenimento da parte di uno dei due coniugi.
Quella della separazione giudiziale è certamente la strada più lunga e costosa, inevitabile se i coniugi non riescono a raggiungere un accordo. La separazione/divorzio si fa in causa davanti al Tribunale che ne deciderà le condizioni al termine di una fase istruttoria.
In caso di divorzio/separazione giudiziale il contributo congiunto sale da 43 a 98 euro e l’onorario degli avvocati sarà molto più elevato, arrivando anche a superare i 5 mila euro. Chi non può permetterselo, può comunque ricorrere al gratuito patrocinio ed essere anche escluso dal contributo unificato. In sede separazione o divorzio giudiziale, il coniuge che perde la causa dovrà anche farsi carico delle spese processuali, che di solito variano tra i 1.500 e i 4mila euro.
Spesso alla parte più debole economicamente fra i separati o divorziati, oppure ai figli, spetta – a carico dell’altro– un cosiddetto assegno di mantenimento che è una sorta di garanzia al contributo equo di entrambi gli ex-coniugi alla vita familiare. Il quantum viene definito consensualmente oppure dal giudice a seconda del tipo di separazione/divorzio che si percorre. I versamenti sono generalmente mensili.
Una volta ottenuto il divorzio, non essendo più valido il vincolo di assistenza materiale, si parla di assegno divorzile e non più di “mantenimento”.
Quest’ultimo di regola non è dovuto se il coniuge che divorzia è economicamente autosufficiente, salvo che dimostri di aver contribuito al patrimonio della famiglia con il sacrificio del proprio lavoro.
In una separazione consensuale, saranno i coniugi ad accordarsi e i magistrati verificheranno la conformità degli accordi alle norme di legge.
In caso di separazione giudiziale invece, deciderà il giudice tenendo conto dei seguenti criteri: le attuali esigenze dei figli, il loro tenore di vita durante il matrimonio e il tempo di permanenza presso ciascun genitore. Le risorse economiche di entrambi i genitori, le proprietà e la loro abilità al lavoro.
Anche il patrimonio di uno dei due coniugi potrebbe entrare in gioco in una separazione/divorzio, specialmente se nel contratto matrimoniale era stata stabilita la comunione dei beni. La cessione della casa a uno dei due coniugi è uno degli esempi di come una separazione o un divorzio possono incidere sul tenore di vita di una ex-coppia.
Studio legale Avvocato Massimo Ornato