Un coniuge scopre di essere stato tradito leggendo alcuni messaggi su WhatsApp: ai fini dell’addebito nella separazione, egli intende utilizzare in giudizio le conversazioni rinvenute. Il marito separato, con un messaggino, riconosce di essere debitore nei confronti della moglie per una somma che la stessa gli ha prestato prima del matrimonio. Una coppia separata intende accordarsi sull’iscrizione del minore all’asilo nido. La moglie divorziata propone un determinato istituto ed il marito, con un WhatsApp, risponde: “va bene, sono d’accordo”.
Ora, l’orientamento dominante della Corte di Cassazione vuole che anche nelle cause di separazione o divorzio i contemporanei sistemi di messaggistica (e, fra questi, debbono annoverarsi i WhatsApp, gli SMS, le e-mail) abbiano l’efficacia di “piena prova” che l’art. 2712 c.c. attribuisce alle riproduzioni informatiche.
Per questa via, detti messaggi nell’ambito di processo di separazione o divorzio formano “piena prova”, a meno che non vengano contestati in modo circostanziato. Peraltro, ancorché ciò avvenga, il giudice della separazione resta libero di accertare la corrispondenza della riproduzione all’originale avvalendosi di altri mezzi di prova.
Pertanto in una causa dove i coniugi vogliono separarsi o divorziare le dichiarazioni contenute su WhatsApp costituiscono un importante strumento di prova che il giudice della separazione o del divorzio ha a disposizione per accogliere o respingere le pretese delle parti in causa.
Studio legale Avvocato Massimo Ornato